Il ponte

Il ponte
Quadro di Enzo De Giorgi

venerdì 19 marzo 2010

Malika

Il cambiamento, caro mio, è la chiave del desiderio
Tahar Ben Jelloun, Partire




Le creature di sabbia sono sempre cittadine di una ferita e soggette ai forti venti del deserto e del pregiudizio.

Sono ferma guardando il mare all'orizzonte. Lontano lontano la costa di Spagna si ostina a restarmi celata allo sguardo. Troppo lontana la costa di Spagna disegna l'arco a sesto acuto delle tue sopracciglia, muto punto interrogativo sulle mie parole. L'immobilità mi procura uno strano formicolio in tutto il corpo. L'immobilità è delle pietre. Non può appartenerci se non per un istante. Scruto il mare all'orizzonte mentre granello dopo granello la sabbia scivola nella clessidra del desiderio negato. Il formicolio aumenta. L'immobilità è della pietra. Scruto all'orizzonte il mare mentre divento formicolio. Ferma. Poi divento pietra. Arriva la sera ed io divento sonno. Dormo. Mi abbandono.Il mare vive dentro al mio sonno e la luna mi fa da sfondo. Sento cambiarmi le fattezze del volto e poi il corpo piano rinasce ignaro del suo stesso genere. Tutto e niente. Sono.

Ascolta, viandante. Passa senza dire nulla. Guarda col tuo sguardo la ferita, l'orlo del sangue rinsecchito segna l'impronta dell'onda sulla battigia in un tramonto pallido. Accarezza quell'orlo con sguardo curioso. Poi vai. Non è da me il tuo posto. Il tuo posto non è qui.

La tua voce muta al mondo me la porto dentro da secoli, suadente e piena di illusorie ed improbabili vicinanze. Certe solitudini sono senza scampo, senza via di fuga.

Oggi andrò all'hammam e laverò questa ferita che il mondo non possa più vederla e neanche immaginarla. Non sopporto gli sguardi pietosi. Mi sono intollerabili alla vista.

Qualcuno dice che sette sono le porte da attraversare. Io sono appena alla terza. Devo prepararmi per la successiva.
Lasciami solo un po' d'acqua per quando avrò tanta sete, viandante.

Sulla via dell’hammam, passo dal souk e mi ricordo di quando mia madre sgozzava le galline. Un solo colpo secco e, pendulo, si rovesciava il capo dell’animale pieno di morte dove un attimo prima c’era vita. Secca e improvvisa era la torsione del collo della gallina, secca era mia madre e brutale quando nel souk mi torceva il polso appena i colori di una tela mi avvincevano lo sguardo. Bastava questo gesto a togliere voce a ogni mio desiderio. Madre, madre che mi hai negata al desiderio! Lo scriba a cui chiedesti di scriverti una lettera d’amore non ebbe esitazione a dirti: No. L’amore non abitava il tuo cuore e lo scriba non aveva parole per te.

Il souk vive di frenesia, vive di sogni strappati a turisti imprevidenti. Comprerebbero anche lo sterco al prezzo di un diamante. Deve essere il sole. Questo caldo che ti bracca l'anima. Noi ci siamo avvezzi e sappiamo che è folle sfidarlo. Bisogna solo fotterlo giocando d'astuzia e di lentezza. Siamo più scaltri noi. E' una scaltrezza che viene da lontano. Il segreto sta nella lentezza. Tutto qui.

Profumi di spezie e di incensi riempiono l'aria in un modo che è quasi nauseante. Bisogna respirare in modo saggio per non esserne storditi.Oggi ho gli occhi stanchi, così tanto stanchi che disegnano cerchi concentrici intorno ad una sola immagine sfuocata, che assomiglia alla tua nuca. Ma non la tua nuca di oggi. No, non quella. La tua nuca di venti anni fa, quando davanti ai dotti dell'università discutesti il tuo lavoro di agronomia e davanti a una domanda inaspettata il tuo collo prese a torcersi così nervosamente che mi sarei messa a urlare contro quegli uomini che ti mettevano in difficoltà, ad arte. Sembrava una cosa studiata. Forse una piccola vendetta. Mediocri.
Gli occhi oggi sono stanchi di una stanchezza che viene da lontano e granelli di sabbia si frappongono tra la tua nuca di ieri e quella di oggi. Devo cercare lo scriba. So che qualcosa ne scrisse. Dei versi, credo. Versi sul tuo collo nervoso. Te li lessi una volta venti anni fa e poi di nuovo appena due anni fa. Ne ridemmo. Devo cercare lo scriba. Lo cerco. Non c'è. C'è solo una sedia. Vuota.

Cerco lo scriba. Chiedo ai vicini. Non ne sanno niente. Saranno tre anni che non si vede in giro. Deve essere partito, dicono. Lo diceva sempre che prima o poi avrebbe preso la via del deserto. Deve averlo fatto.
La sedia vuota, dove prima sedeva lo scriba. Dietro la sedia il muro scalcina coprendo di bianco la strada. E' abbandonata la casa. La sedia è sola. Giro intorno alla casa in cerca di tracce. Nel cortiletto un gatto bivacca all'ombra di un pozzo. Ma c'è qualcosa sul pozzo che sventola al vento. Un piccolo quaderno mezzo spaginato con i fogli ingialliti dal sole.
Apro il quaderno nel mezzo. Leggo:

Sulla sua nuca c'erano scritte tante cose e in modo disordinato. Prima una fine e poi un inizio e poi di nuovo un inizio e una fine. Una mela per tre nel 1989 e la neve a gennaio negli occhi di Zaira nell'anno 2005. Zaira vestita da sposa, la sposa tunisina all'occidente, la vertigine del vuoto negli occhi di Zaira in una fredda mattina di febbraio. E poi l'odore di formaldeide di un ospedale nell'anno 2006 e un albero pieno di nodi nell'anno 1989. Un inizio e una fine. Una fine e un inizio. Nel mezzo: una vita.

Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Mi siedo.

1 commento:

  1. Frozen garden


    This is where it ends
    When you find my secret hideout
    The chapel for my memories
    Did you know
    When I was just a child
    I thought this was the whole world
    Four walls of fading lullabies
    Please don't step inside
    This ground is far too sacred
    A totem to identity
    Did you know
    This is all that's left
    And this is all I am
    Do you hear the fading lullaby
    And I feel unreal
    Two letter on a box
    It always made me shiver
    The artifacts and broken dolls
    Did you know
    I always thought that one
    Could play the game for two
    The labyrinth looks smaller now
    And I feel unreal

    (Kristian Aeon)

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