Il ponte

Il ponte
Quadro di Enzo De Giorgi

domenica 28 febbraio 2010

Due


Giampaolo





Seguo il mio amore e il mio amore mi segue sempre.
Come un'ombra, come un suono prolungato, come una foglia che non smette di cadere.
Il mio amore è senza convenevoli e combinazioni, senza strategie e costruzioni complesse.
E' la pausa tra una parola e l'altra.
Come tamburellare le dita nell'attesa.
Mi accoglie e lo abbraccio senza l'ansia di perderci.
Siamo migranti di cuori e di mani.
Del mio amore ho poche fotografie perché è sempre lui che mi fotografa, eppure il suo viso è indelebile.
Ci concediamo sorrisi come fossero sempre i primi della giornata.
Siamo sempre in viaggio.
Il mio amore ha un nome e un cognome.
E il suo essere è raccolto tutto lì, in ciò che è.


Ps: mi scuso per l'utilizzo improprio di questo blog collettivo per una dichiarazione d'amore :-)

Di mi presento andante.

Ricordo un'atmosfera strana, qualcosa non andava. Avevo 8 anni ed ero appena tornato a casa da scuola, accompagnato da Laika, un cane che mi attendeva sempre, quasi sapesse che uscivo a mezzogiorno e mezza. Nel pomeriggio mi consegnano, con una scusa, ai vicini di casa.
Papà lavorava in cantiere. Una moglie e cinque figli, quattro minorenni e uno appena diciottenne da mandare in giro dignitosi.
Una sola volta mi portarono a trovare papà in ospedale. Era tutto intubato ma sveglio, e mi guardava e mi stringeva la mano. Avevo capito solo che si era fatto male sul lavoro. Siamo a Luglio 1967. Chiedeva insistentemente una sigaretta, e non mi capacitavo per quale motivo nessuno volle dargliela. Mi balenò per la testa il furto di una dalle tasche di qualche adulto, perchè volevo farlo felice e contraccambiare tutte le volte che lui, quando tornava a casa in bicicletta, una Rizzato verde a canna obbliqua da donna, aggrottava la fronte e ci incastrava una moneta d’argento di 500 lire e io saltando la recuperavo. Poi il cerimoniale continuava. Mi faceva salire sul sellino della Rizzato e mi trasportava fin sotto casa. Inutile dire che le 500 lire erano sempre le stesse che giravano nei giorni dei suoi ritorni. Era un uomo forte papà mio. Non molto alto, un fisico asciutto e tutti muscoli e tutte rughe cotte dal sole e dalla fatica su un volto targato 47 anni sempre abbronzato. La sua giornata iniziava all’alba, in cantiere, e apparentemente si concludeva alle 17:00, tornando a casa. Apparentemente, perchè dopo una rapida “sciacquata” prendeva la sua cassetta di lavoro e risuolava le scarpe degli abitanti del nostro quartiere. A giorni alterni curava il giardino del lotto di case dove vivevamo e il suo giardino era il più bello. Batteva ai punti persino quello del signor Polimeni, un uomo meraviglioso dal pollice magico. Poi l’orto sul Tevere, certo. Compresi poi il perchè in casa nostra giravano e cucinavano sempre tante di quelle verdure che a me facevano schifo.
Quel tragico pomeriggio un gruista, poi risultato ubriaco, gli cozzò con una gru contro la sua schiana 300 quintali di materiale, facendolo cadere giù dal terzo piano mentre intonacava.
Renato Armellini, costruttore (e delinquente) romano, faceva lavorare gli operai senza misure di sicurezza, nonostante la legge già nel 1967 esisteva ed era in vigore. Assoldò tre operai, li comprò, per due soldi, per far approntare in fretta e furia qualche tavola, qualche rete di sicurezza, per evitare grossi guai con la legge. Ma arrivò prima un giornalista di Paese Sera, che scattò foto per lui compromettenti.
Mio fratello, il più grande, 18enne, bussò alla porta del costruttore romano per chiedere un prestito di 300 mila lire, che servivano per il funerale. Non si fece ricevere.
Rientrai a scuola non ricordo dopo quanti giorni dalla morte di papà, avvenuta dopo sette giorni di agonia e tubi in ospedale. Forse l’anno successivo, non lo ricordo, uno dei pochissimi dettagli che ho voluto rimuovere. Quel che invece mi colpì è l’essere addidato dai compagni di classe al mio rientro in un surreale e inconsueto rispettoso silenzio.
Dopo 11 anni di processo vengo a sapere che la vita di papà contabilizzava 4 milioni di lire a figlio.
Renato Armellini non fece un giorno di carcere. Seppi poi che venne rapito dalla barbagia sarda e rilasciato dopo mesi in stato pessimo. Poi morì, leggo dalle cronache, affogato in mare mentre faceva il bagno. Un paio di anni fa, Walter Veltroni premia la figlia al Campidoglio, in omaggio e in memoria di un grande imprenditore che si è contraddistinto per impegno ed onestà. P.s. Prima dell’incidente perse una causa per corruzione.

Mi presento. Mi chiamo Maurizio, ho 50 anni e me ne porto 35.
Abito a Roma dalla nascita e dopo aver vissuto 18 anni di quartiere, fatto di tutto, di niente, di emozioni vere, di sangue alla bocca, di giochi creati e mai pagati e sempre condivisi, decido di innamorarmi della mia compagna di classe, in un istituto scolastico privato, per poter recuperare (poi recuperati) 4 anni di arretrati di studi.
Mi sposo con Ornella a 19 anni. Rimase da me incinta quando andammo nel fiume Tevere a fingere di pescare, visto che non sapevo nemmeno infilare un verme in un amo.Due figli da lei, poi la mia valigia mi trasporta di nuovo a casa di mia madre. Pausa di un anno, un anno di esaurimento, smontavo e rimontavo home computers (Spectrum e Commodore 64) poi di
nuovo luce. Nel 1987 incontro il mio nuovo amore, mi risposo, dopo il precedente divorzio, nel 1990 a nasce il mio ultimo boy. Al totalizzatore 3 figli maschi di 31, 27 e 16 anni.
Dopo aver fatto il barman in nero dai tempi della scuola al diploma di maturità (quale maturità poi lo sa solo dio) vengo assunto, grazie a mio fratello maggiore e grazie ad una legge sugli orfani del lavoro, presso una grande società multinazionale, arrivando ad ottenere, per miei meriti e senza acciaccare alcuno, il grado di super fantozzi, impiegato quadro.
L’11 Marzo 2010 festeggerò 30 anni di azienda.
Ho mille miei racconti di me, perchè nonostante tutto, nonostante le vicissitudini, mi sono divertito a vivere la mia vita. Però queste righe non fann o parte del mio archivio. Le stò scrivendo ora, a ruota libera e senza correzioni. Per ringraziare Giusy del suo invito fattomi per stare con voi su questo blog, per raccontarci di vita. Io amo scrivere di vita. L’esatto opposto di quello che mai facevo ai tempi della scuola.
Un saluto a tutti.

sabato 27 febbraio 2010

Zelda

Caro Scott,


perché anche stamattina non posso fare a meno di amarLa nonostante tutto? Stanotte in preda alle più nere delle insonnie ho cercato di capire perché la mia vita sembra legata alla vostra a doppio nodo. Lei è in sé concluso, completo. Non ha bisogno di Zelda per vivere, per quanto ancora si ostini a voler danzare con lei. Credo che Lei assommi in sé il maschile e il femminile, il sole e la luna, e tutti gli elementi tutti, terra, aria, acqua e fuoco … sì, Lei ha tutto, Lei è tutto. E’ tutto in sé conchiuso. Non ha bisogno di Zelda Lei per vivere. Affatto. Anzi, al contrario: Zelda è l’incrinatura, è la distonia, è il meccanismo rotto che inceppa la macchina . Sì, Zelda un tempo è stata funzionale alla sua scrittura, serviva a dare movimento, forza drammatica e pathos alle parole dei Suoi romanzi … ma adesso? Non so Scott … ho come l’impressione di dovere andare, di dovere lasciarLa alla vita finalmente …
Stanotte ho pensato a questa nuova donna di cui mi dicono, questa ballerina che si è messa sulla Sua strada, ho pensato alle sue mani su di Lei, ho pensato alle mille carezze in cui potrete ritrovare quell’entusiasmo dell’amore che io non so più darLe da tanto. Stanotte ho immaginato le Sue mani Scott su di Lei, e vi ho odiato entrambi e poi vi ho amato di un pensiero d’amore che non so dire, vi ho regalato albe e tramonti nuovi e possibilità e sguardi e futuro prefigurandomi tutte le dolcezze del mondo, tutte per lei Goofy caro … Mi sembrava stanotte di poterLa abbandonare a questo sogno, mi sembrava di volerlo fare …
Stamattina amore, non so … è tutto così maledettamente difficile. Come faccio a lasciarLa andare? Mi sento così sola e spezzata e ancora più incrinata, come faccio a chiuderLe davvero la porta? Non so se ce la farò. Lei non mi ha deluso Scott, affatto. Mio adorabile amante dei distillati, stamattina Lei è nell’aria che respiro, nel raggio di sole che si fa strada di tra le persiane chiuse, nel suono monotono dell’onda sulla battigia, nel canto stridulo delle cicale, nel cespuglio odoroso del rosmarino … Scott, stamattina Lei è in ogni dove e come un dolce veleno mi circola nelle vene. Chissà se un giorno riuscirò davvero a non amarla più. Chissà!
Vado via per qualche giorno Scott. Ho bisogno di calma e silenzio per capire bene che cosa è giusto fare, stanotte pensavo di saperlo, ora non so … non lo so più.
Zelda

P.S. Una delle lettere che mi sono permessa di scrivere per conto di Zelda … certe predilezioni non sono casuali. C’è un principio di dissociazione in me? O anche peggio??? A chi verrebbe in mente di scrivere a Francis Scott Fitzgerald? C’è stato un periodo in cui io l’ho fatto e il bello sapete qual è? Goofy mi ha risposto. La rete mi ha offerto un novello Scott che rispondeva alle mie missive “dalla parte di Zelda” perorando le ragioni di “Scott”. Ho scritto lettere per mesi poi, come si conviene a chi è mosso dentro da un reale furore distruttivo, in una notte distrussi tutto … sono rimaste appena un paio di lettere nella mia cartella dei documenti. Una è questa. Delle lettere di Scott invece è rimasta traccia per un po' di tempo nel blog di Vanna, prima che cancellasse tutto anche lei a sua volta.

Macchie

Devo fare il bucato, oggi. Ho quatto ceste piene di ogni tipo di indumenti: la prima è colma di calze consunte e di biancheria intima dall'odore acidulo; la seconda contiene lenzuola sporche di tradimenti e menzogne reiterate; la terza trabocca di asciugamani macchiate di terra e sudore; nella quarta ci sono abiti già lavati ma da cui non sono andate via le macchie di sangue.
Me lo diceva mia nonna "il sangue va lavato subito e con l'acqua fredda se no cuoce"; e io, sorda alle raccomandazioni, li ho buttati in lavatrice con il resto del bucato. Ora devo metterli in ammollo con la candeggina.

Nell'attesa mi dedico alle prime tre ceste.

Le calze sono talmente logore che mi converrebbe gettarle e comprarne delle nuove, ma mi tocca rammendarle e usarle ancora; per la biancheria intima aggiungo al detersivo dell'ammorbidente profumato; sarebbe inutile utilizzare lo sbiancante dato che gli elastici sono ingialliti e raggrinziti. Per le lenzuola programmo un lavaggio a 90°, preceduto da un energico prelavaggio e seguito da un doppio risciacquo. Per un po' dormirò solo col piumone. Le asciugami sono la cosa più semplice: la terra non ha un cattivo odore e, se pure ne rimane traccia, non me ne dolgo; il sudore è acre ma è mio e sul mio volto non genera disgusto. Con un po' di sbiancante e mezzo tappo di ammorbidente torneranno come nuove.

Le tre ceste sono a posto.

Posso sciacquare i panni in ammollo. Li stendo e vedo subito che le macchie ci sono ancora. Sono però un po' sbiadite. Dovrò, giorno dopo giorno, ritrattarle e così, anche quelle più resistenti, spariranno.

Resterà solo il ricordo che mi impedirà di sporcarmi ancora.



P.s.: Si tratta di un vecchio post riciclato e di un'immagine saccheggiata in rete. Il tema del giorno non mi sta stretto ma sono una lumaca con un orologio che sembra una lepre. Domani forse troverò il tempo per postare due righe sull'argomento proposto da Giusy all'inaugurazione di questo spazio collettivo.

Un saluto a tutti, Laura

venerdì 26 febbraio 2010

La luce delle Stelle

Come è bella quella stella
lassù in cielo, come brilla!
un coriandolo fatato
luminoso ed incantato

E' una stella un pò speciale,
bella storia a raccontare
e ora a letto! birichina
disse il babbo alla bambina

C'era una volta tanto, tanto tempo fa un mondo felice in cui pace ed abbondanza regnavano. I popoli avevano capito che le guerre erano inutili e che vivere in armonia era l'unica strada per prosperare. I bambini erano felici e alla sera, in braccio ai propri genitori, guardavano le stelle immaginando in quelle luci splendenti mondi magici, pirati e principesse.
E lassù in cielo le stelle giovani, che sapevano di una tale ammirazione, facevano a gara a brillare e a cambiare colore, mentre le stelle anziane, meno luminose, osservavano compiaciute i bambini e i loro sogni felici.
A una stellina in particolare di nome Tikky piaceva molto mostrarsi. Lei era la più vanitosa di tutte le stelle giovani, sempre intenta a specchiarsi e confrontare la propria luce con quella delle altre sue amiche. Ma a lei non bastava mai, voleva l’attenzione dei bambini, voleva essere la più bella e luminosa nel cielo.

Ma che bella questa storia!
dai racconta, son curiosa
la stellina luminosa,
chissà che combinerà!

Dovete sapere che le stelle, per poter essere così splendenti nel buio della notte, dovevano bere ogni mattina, al levare del sole, un poco di pozione magica chiamata “La luce della Gioia“, che veniva distribuita dal Saggio delle Stelle, anziano e autorevole capo degli astri.
Un bel giorno Tikky, stufa di dover contendere l’attenzione dei bambini, andò in casa del Saggio e rubò un‘intera bottiglia di pozione magica, bevendosela tutta in un sol fiato.
- Voglio essere la stella più luminosa, così i bambini guarderanno solo me.
Alla sera, il sole tramontò e le stelle cominciarono a brillare come al solito, ma a un certo punto un puntino luminoso cominciò piano piano ad essere più splendente: era Tikky. E la sua luce aumentava, aumentava, fino a coprire gli altri puntini e a diventare la stella più luminosa che c’era. Tutti i bambini si volsero verso quel bagliore che cangiava anche di colore, ora era giallo, ora rosso, ora blu.
- Che bello mamma. Guarda che luce. Ohhhh! – Esclamazioni di stupore e di ammirazione si levavano da tutte le case e gli occhietti, rapiti, cominciavano a sognare, ad immaginare.

Oh che gran putiferio
pasticciona lo è sul serio!
Stai a vedere, te lo dico,
un bel guaio io prevedo

Tikky era sempre più contenta e non faceva che pavoneggiarsi di fronte alle altre stelle.
- Guardate, guardate i bambini come sognano, come sono contenti!
E in effetti tutto stava andando come lei voleva. Ma ahimè Tikky non si accorgeva che la sua luce continuava ad aumentare sempre di più, sempre di più. E dopo aver oscurato le altre stelle, cominciò a trasformare la notte in giorno fino a quando non ci fu più nessuna differenza. Era sempre giorno.
E i bambini cominciarono a lamentarsi, non riuscivano più a dormire, non giocavano più, erano sempre stanchi. Ben presto mugugni e proteste si volsero verso il cielo e verso quella stella. Nessuno guardava più in alto e tutti cercavano un riparo da quella luce intesa.
- Uffa – Disse Tikky – Nessuno mi guarda più, guardano tutti in basso.
- Perché hai sbagliato – Il Saggio gli si avvicinò – Tutta quella pozione che hai bevuto ti farà brillare per sempre come un sole. La notte non ci sarà più e ti odieranno per questo.
Tikky scoppiò a piangere.
- Aiutami, Saggio, non sapevo, ora sono pentita. Come faccio a ritornare ad essere la stella di prima?
- Se mi prometti che non farai più una cosa simile, ti aiuterò
Il Saggio tirò fuori una boccetta e la diede a Tikky. Lei bevve e magicamente la luce cominciò a scendere. In un battibaleno ritornò la notte e un meraviglioso cielo stellato si rivelò agli occhi di tutti. E applausi e risate riempirono ben presto il vuoto, i bambini sorridevano e tutto tornò come prima. Anche Tikky era felice e giocava a nascondino con le sue amiche stelline.
Ancora oggi si parla di quella vecchia storia da cui è nato il detto:
“A brillare troppo si finisce per diventare ciechi”.
Babbo, babbo, che bellezza,
e che gioia, contentezza,
ma ora ho sonno e i miei occhietti
già si chiudon, poveretti

Dormi bene, piccolina
su riposa, sino a mattina,
coi tuoi sogni arcobaleno
ne faremo un mondo intero

Dedicato a Elena e a Gianni Rodari.


E vabbè, mi riposto anche io. Una favola di un paio di anni fa che tentai di raccontare una sera di bevute toppando e incasinandomi clamorosamente, credo ci fosse anche Giusy, non ne sono sicuro. Avevo bevuto troppo.
In ogni caso per una strana associazione di idee mi è venuto in mente questo pezzo e ho deciso di postarla, così, per strappare un sorriso.
La vera storia è: una sera di tanti anni fa, per "far addormentare" una bimba, non riuscivo assolutamente a ricordarmi una fiaba che fosse una, manco Pinocchio o Cappuccetto Rosso (che ho sempre odiato, perfettina e ligia come non mai: e nonna di qua e nonna di là...) quindi mi sono inventato questa storia. Alla bimbina deve essere piaciuta (anche perché se lo ricorda anche adesso) e continuava a chiederla e io la allungavo, aggiungevo personaggi, un po' come le tradizioni orali. E lei si addormentava.
Sono stati bei momenti, di padre.

Libellule

giovedì 25 febbraio 2010

Casalinghitudine

Oggi ho capito un paio di cose o tre:

  1. Sono una compulsiva (in realtà questo lo sapevo già ma oggi ne ho avuto la prova provata).
  2. Le casalinghe vere non possono scrivere, assolutamente. Sfido io chiunque a dimostrarmi il contrario. Se avessi un minimo di energia scriverei sulla giornata di oggi almeno un romanzo. Quante cose mi sono venute in mente lavando e lucidando. Quanti ricordi. Il sabato a casa dei miei tanti anni fa quando ancora vivevamo tutti insieme. Le mie sorelle armate di scopa e paletta. Io sempre a spolverare: ero la più piccola, dovevo cedere (spolverare era tra i lavori di casa quello che odiavamo di più in assoluto). Mia sorella M. che avrebbe battuto un’intera impresa di pulizie quattro a zero tanto era precisa, meticolosa e scrupolosa. Si spalancavano porte e finestre. E tutto veniva lavato ma proprio tutto tutto. Era M. a lavare e quando il pavimento era bagnato si sarebbe potuto presentare il Presidente della Repubblica o il Papa in persona e sarebbe stato fermato alla porta d’ingresso dal suo urlo furioso: “Aspetta che asciughi. Non lo vedi che è bagnato!!!”. Eravamo a casa sua quest’anno per il pranzo della Vigilia di Natale (nella mia famiglia si fanno i pranzi e non le cene, ma questa sarebbe storia lunga da spiegare e davvero oggi non sarei nelle condizioni per farlo … mi ammalerò? Dovrete venire a curarmi nelle prossime due settimane? Non posso escluderlo. C’è qualche volontario? Qualcuno si offre??? Ahi, ahi, ahi … come mi sento!!! Avrò esagerato un po’? ), scusate la lunga digressione, dicevo che per il pranzo della Vigilia di Natale eravamo a casa (che poi in realtà è una sorta di castello, non esagero: tre piani e tanti vani) di M.: tutto perfetto. Un granello di polvere qualcuno l’avrebbe potuto trovare? Giammai. Tutto perfetto. M. sarà una casalinga vera? Mi chiedo. Lei lavora eppure è una casalinga vera. Credo che non abbia mai scritto in vita sua. Credo che non potrebbe farlo mai.
  3. Una casalinga vera non fuma. Quantomeno non fuma in casa. Metti che uno abbia passato una mezza giornata a pulire una stanza della sua casa (uno a caso io e una casa a caso: la mia, una casa un po’ bohemien come disse la mia amica Mariella quando venne a casa mia la prima volta), dicevo mezza giornata per una stanza che a fine lavori profuma di un misto di vaniglia, agrumi e cose buone, bene come può questa persona presumibilmente rovinare il risultato di tanta fatica accendendo una sigaretta; è chiaro che uno si dispiace, no? E’ una sorta di delitto. E’ un crimine, chiaro.
  4. Una casalinga vera non scrive, non fuma e va a letto prima di carosello e non dopo. Io spesso vado a letto presto e leggo. Ma ne avrò la forza stasera? Ne dubito. In breve ho capito che io non sarò mai una casalinga vera e se mai dovessi diventarlo, voglio una stanza nella casa che sia un vero e proprio fumoir, una stanza tutta per me. Non potrei rinunciarci. Da un bel po’ di tempo ho una casa tutta per me ma è troppo, una casa è troppo, decisamente, a meno di non pagarsi una donna ad ore. Non l’ho mai fatto prima d’ora. Mi sa che però domani comincio a chiedere un po’ in giro ché i miracoli non avvengono certo tutti i giorni!

E fin qui (lo confesso) mi sono ri-citata. Questa cosa l'ho scritta il 28 dicembre del 2008. Cos'è cambiato nel frattempo? Ben poco, purtroppo. Ho avuto una fase di maggiore attenzione e costanza nella gestione della casa fino a qualche tempo fa, ma trattavasi di uno stato di grazia interrottosi oramai da un paio di settimane. Oggi ci ho pensato seriamente a darmi un po' da fare ma mi sono stancata talmente tanto solo a pensarci che poi non sono più riuscita a passare dall'intenzione all'azione. Domani pomeriggio però ci provo seriamente. Non fosse mai dovesse arrivare un/una ospite improvviso/a come minimo devo metterlo/a nella condizione di entrare in casa senza dovere sgomitare e fare lo slalom tra una cosa fuori posto e un'altra. Riuscirà la nostra eroina??? Stiamo a vedere. Vi aggiorno.

Attimo di tempo

Ho avuto centinaia di vite precedenti.
Forse migliaia, non le ricordo tutte.
Mi sono risvegliato come animale, cosa, persona. O forse come attimo di tempo. Sì, un preciso momento nel quale è successo qualcosa anche di non importante. Ma quell’attimo è stato il mio. Solo mio.

Certo, qualcosa ricordo.
Dicono che l’ultima vita è la somma di tutte quelle precedenti, dicono che la memoria ancestrale di ogni singola cellula contiene parte di quelle vite. Noi non lo sappiamo, non lo capiamo. Li chiamiamo Deja-vu, una cellula impazzita che in quel momento trasmette quello che ha dentro.
Immagini sfocate dal passato. Nostro.
Però da chi sono e come vivo ora posso immaginare com’ero, come sono stato.

Ero sicuramente una nota di un musicista jazz, negli anni ’30, non uno famoso, ma un negro “nigga” che suonava nelle bettole troppo fumose e troppo sporche. Uno che è morto con a fianco il sassofono, uno che le donne le ha sempre considerate note da suonare e ha capito benissimo che prima o poi il suono finiva anche con il fiato più lungo.

Una nave da trasporto o da esplorazione. Sì, devo essere stato quello. Solitudine e libertà in spazi aperti, ma con una rotta, una missione da compiere e tanto tempo per sé.
Ne ho fatti di viaggi, in condizione e su mari diversi. Ho visto albe, terre nuove, gabbiani che si sono posati sul mio legno. Nessun cannone o battaglia però, per questo c’erano le navi da guerra, spavalde e veloci. Toccava a loro, non a me, io odio la guerra anche se mi ha sempre affascinato.

In una di queste vite mi sono svegliato libellula, dalle ali cangianti e dal volo sicuro. Non una farfalla, più bella e nobile, che invidiavo per i colori. Ah, quei colori. Io mi consolavo volando più veloce e più a lungo, lungo questo prato che era il mio mondo e fino a quei filari laggiù confine di terre sconosciute e pericolose. Deve essere per quello che amo volare in qualsiasi modo.

In tutti questi tempi mi chiedo quante volte ho perso l'innocenza uccidendo qualcuno o uscendo dalla vita di una persona. Quante volte ho pensato “perché?” e quante volte mi sono chiesto "cosa ci faccio qui?". Molte, credo.
Troppe, sicuramente.
Di certo sono stato uno stronzo che scappava, un eretico bruciato, uno scrittore a caccia di ispirazione. E alla fine sento che in tutte queste vite sono riuscito a incasinarmi sempre, un tratto distintivo. Nel passato. Nel futuro.

Questo è quanto, ma se e' vero ciò che dicono, allora ho attraversato l'intera storia umana senza accorgermi di nulla. Male vero?
Direi più un peccato, tutta questa conoscenza dentro di me e nessuna possibilità di estrarla, se non per brevi elettrici attimi. Sono stato per mille volte, ora non sono nemmeno per una.

Ah, l’attimo. Dimenticavo.

Un’idea.
Mi sono reincarnato nel momento in cui nasceva un’idea nella mente di qualcuno. Un’intuizione morta subito, o dimenticata o inutile. O forse importante.
Ma per un attimo, un solo attimo sono stato tutto, consapevolezza e conoscenza. Ho abbracciato il mondo, perchè per noi attimi l’universo è comunque troppo grande da capire.
Ho visto, Dio santo, ho visto.
Ma sono passato subito.

passaggi


E' come cadere, solo che non smetti mai di farlo. La caduta è continua, senza fine. Ti afferri con gli occhi a ciò che vedi: una scrivania, dei libri, lo schermo acceso di un computer, un fazzoletto di carta, qualche penna, la finestra che si apre sul cielo striato di bianco. E intanto cadi, cadi, cadi. Senti il suono della radio, i passi fuori dalla porta, una voce in lontananza, lo stridere di un freno. La caduta non cessa mai, però. Cadi cadi e ti domandi: ma la terra non dovrebbe essere sotto?

Antiche reminiscenze



volevo rendere partecipi i coautori di questo blog di questo link che ho amato da subito, può sembrare trash, ma secondo me non lo è, ed è in tema appunto con la tematica del blog, raccontarsi, senza confini...
la dolcezza e la nostalgia di amate e lontane terre e tempi...

Non mi resta che raccontarmi



dedicata a mia sorella Cristina
con amore

mercoledì 24 febbraio 2010

Father and daughter



La mattina che te ne sei andato era giovedì, c’era freddo e spirava un vento di tramontana. Davanti all’obitorio pochi alberelli, alberi giovani si piegavano sotto le raffiche un po’ fuori stagione. In una fredda giornata di aprile sono diventata orfana di te. Sei arrivato chiuso in un affare metallico di colore grigio. Affianco c’era un lenzuolo intriso di sangue. Il tuo. Eppure non riuscivo a pensare che fosse proprio roba tua. Mi sembrava come quando alla TV vedi un film o un servizio forte. Sì, ti scuote … ma è ad un tempo così lontano. Lontano … e poi tutte le ore successive le ho vissute come da lontano, come da lontano. Come da lontano ti ho scelto la bara. Come da lontano sono stata dai carabinieri. Ho ripreso le tue poche cose e sono anche riuscita a sorridere un po’ quando il carabiniere che stilava il verbale di restituzione degli effetti personali mi ha detto: Signora, suo padre era pieno di soldi … c’erano soldi da tutte le parti. Ho sorriso. Sì, eri proprio tu. Poi dal portafogli sono spuntate poche foto e l’immagine delle stimmate di Padre Pio. Te le portavi sempre appresso. Pochi giorni prima, alla fine del pranzo di Pasqua, avevi sfilato quelle foto e ci avevi raccontato tante cose che non avevi mai detto. Come se sapessi che non c’era più tanto tempo … come se in qualche modo misterioso tu lo presagissi. Non sapevo cosa farne di quel portafogli e del resto, chiusi in una busta gialla. L’ho tenuto in borsa. Non sapevo dove lasciarlo. Non volevo che gli altri lo vedessero in quelle ore. E poi il giorno dopo quando siamo venuti a prenderti tu eri lì, fermo con l’espressione di sempre, quella di quando dormivi e vederti mi ha fatto stare meglio. Meno male che è stato possibile vederti ancora nonostante lo scetticismo delle prime ore quando medici e soccorritori e chi ti aveva visto il giorno prima diceva che non era proprio il caso di “guardarti”.Siamo stati lì con te per ore. Abbiamo pianto e abbiamo anche riso ché ti ricordavamo “grillo” come sei sempre stato. Poi a un certo punto mi sono ricordata del portafogli nella busta gialla. L’ho tirato fuori. Abbiamo riguardato le foto e ricordato la domenica di Pasqua e come d’istinto ho preso le stimmate di Padre Pio e te le ho messe tra le mani. Chissà da quanti anni te le portavi appresso. Sono partite con te. Domenica saremo ancora tutti insieme a tavola. Sono venuti tutti. Siamo tutti qui. Ci mancherai, di certo. Ho pianto tanto i primi mesi e non solo per l’assenza di te. Negli ultimi mesi non riuscivo più a farlo. Adesso sto piangendo e mi fa bene ché ci sono lacrime e lacrime …

____

P.S. Avevo giurato che non avrei utilizzato le cose scritte altrove e in altri tempi. Ma spesso mi è difficile tenere fede ai miei stessi giuramenti e questo è uno di quei giorni. Quanto sopra è stato scritto il 10 aprile del 2009 a un anno esatto da quando mio padre mi ha lasciato. Mio padre ... vorrei potere scrivere di lui ancora, ché se ne scrivo è come se ce lo avessi ancora qui a portata di mano. Magari sarà questo il posto in cui potrò tornare a scrivere di lui. Spero di non avervi intristito troppo postando questo. Volevo solo regalarvi un momento chiave della mia vita. Un bacio a tutti.

improbabili panini da viaggio

In viaggio. Ché non ne posso fare a meno di viaggiare, ché invece che imbottire la valigia dovrei trovare cose da lasciare. E lascio e prendo e lascio e riprendo e perdo. Se perdo ritrovo, quasi sempre. No. Però, però, sul serio, dove vai senza il supplì di vestiti? Un panino, devo infilare un panino nel tascone laterale del borsone e la borsa vintage per l’occasione vien fuori come un coccodrillo. Che ti dice? Mi è andato di traverso un calzino, dice il coccodrillo mangione, sbrigati a partire, sbrigati! E son qua, son qua con un supplì da ingoiare e un coccodrillo da salvare. Piange, piange e ride, piange, ride e piange il coccodrillo ed io sono ancora qua e tu sei là e il coccodrillo s’è infilato con la testa nel supplì. Un supplì al coccodrillo in sottoveste nera. Ho una sottoveste nera? Mah, forse sì, forse no, chissà. La tengo, può far sempre comodo, non si sa mai, magari il coccodrillo vuol mangiare. Sbrigati, sbrigati e scappa via, il coccodrillo ha ancora fame. Vieni di qua, scappa di là e nascondi quel foulard lui non lo sa ma nel panino, insieme ai cetriolini, non sai il sapore che dà. In viaggio. Sì, nella valigia solo fantasia.

L'Inizio della Fuga in Fiamme

Scrivere in questo sito mi emoziona e la vanità si può anche misurare in voglia di dire la propria in questo caso la mia. La spontaneità di un viaggio senza confini di un ponte senza una vera meta porta a tanti ad una dispersione che non percorre più quella antica strada di casa.
La casa non c'è più. La ricostruisci di mattoni da una siepe di nuvole e sogni ad una fuga di fuoco e fiamme che ti portano a legami che non conoscevi e che ti tengono legato ad un palo finchè la vita non dura. Nel frattempo scatti di fotografie di binari che viaggiano allegri e tu con la tua fantasia dietro una finestra sporca felice dei viaggi altrui, felice dell'ossigeno altrui, vampirismo antichissimo e fautore di sensi di colpa infiniti appunto l'Inizio di una Infinita ricerca e incetta di ricordi per ricostruire, ricostrurti un viaggio con la fantasia l'unica rimasta ed un cameriere che ti porta un cocktail americano ai Caraibi resta un viaggio indimenicabile e non chiedi chi è ma perchè ha avuto la fortuna di viaggiare ballando...
vanna
crazy...

martedì 23 febbraio 2010

Pro-posta

A tutti i co-autori. Ci liberiamo del "tema del giorno" e lasciamo che i nostri testi fluiscano liberamente prendendo a pre-testo gli spunti offerti dai compagni di viaggio? Inizi, viaggi, tempo, ponti, passaggi ... e tutto quello che viene. Forse non era proprio un'ottima idea stare nel recinto del tema del giorno. Ci proviamo?

tempo


Mi manca il tempo, in questo periodo.
Per raccogliermi dentro il bianco rassicurante di una pagina, nella vita di personaggi che mi illudo di condurre per mano.
Ma non resisto all'invito di Giusy alla condivisone, all'idea del "ponte" tra un luogo e un altro, poco importa da che parte del ponte stai e dove questo ti condurrà.
Comunque, è un luogo di passaggio, e io li ho sempre amati i ponti. E pure i passaggi.

Il viaggio e ... la gente della notte

Su suggerimento di Vanna che ancora non è riuscita ad aprirsi un account google posto questa canzone che non conoscevo prima d'ora. Mi sembra assolutamente in tema:



Piesse. Giovanni, appena puoi aiuta la nostra amica comune ad aprire l'account. Vanna "deve" essere autrice anche qui. D'altra parte l'idea del blog mi è venuta anche a seguito delle nostre chiacchiere marchigiane. Questa canzone mi fa anche un po' pensare a una serata in un baretto sul porto di Ancona ... e mi sembra molto legata anche al tuo post Giovanni.

Il viaggio

Il primo viaggio ha inizio al buio. Si ,al buio,ma un buio rassicurante ,che porterà alla luce.E il corpo racconta....

Racconta del viaggio attreverso il quale si compie l'inevitabile metamorfosi,che porta allo sviluppo e alla maturazione.

Racconta della piacevolezza di quel caldo liquido che protegge da ogni aggressione sonora,rendendo ovattato ogni stimolo esterno.

Ma questo limbo è destinato a essere abbandonato affrontando un doloroso processo di separazione.

Il primo viaggio termina solitamente dopo circa 40 settimane ,e ancora non sappiamo che probabilmente sarà il più breve e il meno faticoso della nostra vita....

Passaggi sardi

Appena rientrato da una passeggiata a piedi per Dorgali. Avevo sete e sono uscito alla ricerca di un bar. Ho camminato per un po' tra strade e vicoli in un silenzio cui non sono più abituato. Sembrava non ci fosse nessuno. Ero solo. Poi per caso alzo gli occhi... balconi, finestre, verande... erano tutti lì, al buio, senza parlare, a guardare la strada e prendere il fresco.
Trovo un bar, compro l'acqua. Un litro e mezzo di effervescente naturale 1 €. Bene. Riprendo la strada per il B&B. Ancora silenzio. Ma adesso lo so, non sono solo. Li vedo, nella penombra, osservare. No, non è silenzio, oramai l'ho capito. Qui si parla con gli occhi. Come ad Orgosolo, quando ho circumnavigato il Gennargentu. Incontri e sapori traspirati attraverso la pelle, fatti di sguardi fieri e donne magre, anziane, vestite di nero, che attraversano vecchi vicoli come volassero... senza rumore. Orgosolo impressiona. Un luogo che parla attraverso i muri delle proprie case e con gli occhi di chi vi abita.
Prima di arrivare al B&B passo davanti la sede locale del PC. Al balcone, ringhiere con falce e martello. Fa un po' tenerezza. Sorrido. C'è una strana forma di attaccamento al passato in questa parte di Sardegna. Non arretratezza. Ma ancoraggio. In un luogo dove da sempre il tempo te lo guadagni, dove strappi via ogni giornata ad una terra dura come le rocce del Supramonte, ciò che trascorre vale di più, te lo sei conquistato, e non lo butti via come se nulla fosse... o per l'ultima reclam.

Un viaggio inizia sempre dal bisogno...

...di muovere un confine fino al sogno.

Nel viaggio di tutti i giorni, nel rincorrersi affannato e isterico al quale siamo sottoposti mi trovo a percorrere strade separate e uniformi.
Non c'è un bivio per chilometri solo prati da un lato, deserto dall'altro. Mi sembra deserto, attraverso i finestrini, ma non ne sono sicuro. In effetti mi sfugge il quadro generale, il paesaggio, è tutto così sfocato, quasi che pochi metri dopo il ciglio non ci sia nulla.
Ogni tanto piove, ma la strada non si bagna, per la verità non mi bagno nemmeno io, non so perchè. Il sole picchia e si fa sentire, scalda l'asfalto e compone miraggi che non capisco, che non metto a fuoco, mai.

Non ho cappelli da mettere, ho poca acqua, tanta benzina, un motore che non si ferma e i pneumatici consumati. A volte penso di aver percorso questo tratto per centinaia di volte, mi sembra di conoscere quel filo d'erba, quel sasso, quella nuvola, ma poi mi scuoto e guardo da un'altra parte, cerco da un'altra parte.
Il vento mi spinge, mi segue come una presenza costante, fissa, sembra che sappia dove sto andando, beato lui.

Quanto è lungo questo rettilineo? Dov'è la prima curva?
Non ha importanza, solo i dettagli contano: non inciamparsi, seguire la strada, controllare la benzina, fare attenzione a che nessuno attraversi, specchietto retrovisore, parabrezza, scarpe.
Frizione, freno, accelleratore.

Prima, terza, prima.


Gli inizi dei viaggi

Ho iniziato a comprendere la difficoltà del vivere quando qualcuno fece in modo che mi accorgessi di quante idee sbagliate avessero stipato nella mia testa.
Più o meno un secolo fa.
Pian piano, conscia delle potenzialità di quella piccola donna sempre più restia a lasciarsi addomesticare, iniziai a smontare con puntigliosità quelle costruzioni mentali che, in definitiva, non mi appartenevano.
La vita di ognuno di noi è il prodotto di quello che siamo, più ciò che vorrebbero che noi fossimo.
Ogni esperienza fondamentale, ma anche le piccole e quasi insignificanti scelte di ogni giorno, presuppongono la nostra volontà di voltare pagina e di intraprendere un nuovo percorso.
I princìpi che ci spianano nuove vie, a volte incerte, sono semicerchi che non compiono mai un giro completo.
Gradualmente si intersecano e si intrecciano ad altri semicerchi che formano ghirlande di possibilità mancate, o di opportunità perse per strada.
Più o meno come i binari dei trenini elettrici di qualche anno fa: quelli che si incastravano nei loro compagni.
A volte in senso inverso.

lunedì 22 febbraio 2010

L’Inizio dell’assurdo (o un assurdo inizio)

Ho sempre pensato che un Inizio dovrebbe bussare, prima.

Un buon Inizio inteso come educato, non come positivo, gli Inizi non sempre lo sono.

Non pretendo che quando arrivi debba per forza avvertire in maniera legale, tipo mandare una cartolina o lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. A chi, poi? Oppure far chiamare da quei pseudo call-center dedicati agli inizi:

“Buongiorno, il signor Binello? Qui è Ricominciare (marchio registrato)
“Si, certo, mi dica.”
“Le comunichiamo che martedì prossimoventurocorrentemese lei incontrerà tale… vediamo… Marika, con la quale potrà fidanzarsi, fare figli, mettere su casa o semplicemente sesso. Ha capito?”
“Grazie. Scusi, posso cambiare nome della suddetta?”
“No. Le mando un questionario da compilare sulla qualità del nostro servizio. Buongiorno.”

Insomma il buon Inizio (vedi sopra) dovrebbe in qualche modo attraverso segnale divino, chessoio, sottoforma di un palo preso sulla testa mentre cammino, annunciarsi. Senza svelarsi del tutto. Con minimo di mistero. In modo che poi dopo uno ci possa pensare e esclamare un corposo Ahhhhh, ecco!

Intendiamoci, sono stato sempre aperto agli Inizi, li ho accolti nella mia vita accudendoli, anche due o tre alla volta. Anche se avevo la casa piena di altri Inizi (e di Inizi degli altri) e non sapevo dove metterli. E vi posso assicurare che c’è stato un periodo di accavallamento Iniziale (inteso come di più Inizi contemporaneamente) qualche anno fa veramente stressante.
Inizio di lavoro, Inizio di nuova casa, Inizio di nuova solitudine ecc.. Persino io ero diventato un Inizio a tutti gli effetti.

Per chiudere e trovare un senso a questo assurdo post, che se ci pensi assurdo non è poi così tanto, mi viene una domanda: Quanto debba essere preparato in un qualche modo ad iniziare qualche cosa di cui non conosco nulla, ma di cui vedo solo l’Inizio arrivare? Chi mi prepara? La vita inteso come esperienza? Intendo prepararsi a qualsiasi cosa anche la più imprevedibile. E’ un ossimoro, vero? Si, lo è. Ma tant’è, torniamo al punto.

Se vedo un Inizio, lo abbraccio come un vecchio amico in visita e lo faccio entrare o lo tengo a distanza magari annusandolo un po’ come un vecchio cane. E se già all’inizio puzza di Inizio andato a male, stantio? Che faccio, lo mando via?

E se arriva un Inizio scintillante, quello tipo un cameriere su un’isola piena di belle ragazze seminude (leggasi opportunità, malpensanti!) che ti si avvicina con il tuo cocktail preferito facendoti l’occhiolino? Come fai a sapere che non sia un pappone invece? E lo accetti sapendo che prima o poi ti presenterà il conto dello scintillio, cash-only?
Come accogliete gli Inizi, dunque, voi, laggiù? Ditelo, anzi scrivetelo.
Che poi, mi sta venendo in mente, non è che confondo l’Inizio con il Destino?

Inizio/Destino: “Complimenti per aver baciato questa donna, adesso però firmi qui.”
Mauri: “Eh? come?”
I/D: “Si, secondo questo modulo le è stata appena consegnata una "storia d'amore" con, vediamo, i seguenti optional: convivenza, acquisto auto, svariate litigate, due tradimenti, tre vacanze in villaggio turistico e alcuni altri pacchetti-tipo.”
M: “Ma io non avevo specificato nulla.”
I/D: “E' un offerta speciale. Full credit. Da parte sua, ovviamente. Ah, volevo informarla, che quando la riconsegnerà non ci sono formalità da espletare.”
M: “Scusi? riconsegnare?”
I/D: “Si, qui dice che la storia è a tempo, c'è una scadenza che non mi è consentito rivelare.”
M: “Destino bastardo!”
I/D: “...veramente era beffardo. Firmi, svelto!”

co(r)rispondenze

Co(r)rispondenze ... comincia lo spettacolo.
Un nuovo inizio. Mi piacciono gli inizi. Mi piacciono così tanto che se mi guardo indietro non faccio che vedere una lunga scia di inizi. Perché questo blog? Come nasce? Perché "Co(r)rispondenze"?
Il blog nasce sicuramente da un bisogno, il bisogno di raccontarsi, di esserci nella parola, nell'immagine, nella musica, di "esserci". Io scrivo da molto. Come tanti ho iniziato a scrivere per me stessa. Poi ho continuato a farlo per gli "altri". Mai ho scritto meglio di quando mi sono immaginata un "interlocutore", fittizio o reale non era importante. Era importante che ci fosse, era importante sentire di scrivere per gli "altri". Io l'ho fatto usando uno pseudonimo che mi consentiva di avere una grande libertà narrativa. A dire il vero di pseudonimi tanti ne ho usati!!!Non sono nuova all'esperienza blog. Qualche mese fa ho smesso di "scrivere" in rete. Il "blog" talvolta è una cosa faticosa. Chi ti legge vuole essere aggiornato. Giorno per giorno i blogger finiscono per vivere una vita che possa essere raccontata, che possa avere dignità di scrittura. Ed è faticoso vivere per scrivere!!!
Poi i cerimoniali di corte ... che noia, ragazzi. Non ne potevo più. Non mi stimolava più. Mi sembrava di recitare un copione unto e bisunto. Ho chiuso più o meno tutti i miei spazi e ho cominciato a usare "facebook", con grande ritrosia inizialmente. Ho cominciato ad avere il piacere di usarlo quando ho capito che mi poteva davvero consentire di conoscere persone che diversamente non avrei mai incrociato. E qualche persona piuttosto interessante e stimolante l'ho incontrata. "Facebook" però non può che essere "ponte" sennò diventa anche quella esperienza sterile. E allora "da facebook al blog" ma non da soli, questa volta "insieme".
Come testata ho scelto un quadro che racconta in un'immagine quello che vorrei diventasse questo posto. Ringrazio Enzo De Giorgi per avermi offerto con il suo quadro un modo efficacissimo di "dire". Cliccando sull'immagine si arriva direttamente nel suo sito.
Il nome del blog ha nella mia testa un grande valore simbolico. Rimanda non solo al "Collettiva-mente" della nota che mi ha portato fin qui. Rimanda alla coralità, rimanda al cuore, rimanda alle rispondenze. Non vedo l'ora di fare partire l'avventura. E allora la smetto di blaterare da sola. Ora vi mando gli inviti e, se ne siete in qualche modo stimolati, dateci sotto. Se non si fosse capito ancora il tema del giorno è ... "Inizi".