Come fa? Come accidenti fa?
Guardala, è serena, seduta di  fronte, le braccia appoggiate al tavolo. Sorride pure.
Che cazzo hai  da sorridere? Sembra una smorfia, quella!
Questa non è una  situazione in cui si deve sorridere. Anzi, mi fa sentire a disagio,  insieme a tutto il resto intorno. Le ho detto della sedia, di quanto sia  scomoda, più volte, ma niente. Risponde che non c’entra, che non è la  sedia, ma tutta la situazione. Per come siamo arrivati a questo, dice.
Mentre  parla penso a come ho fatto a sposarla, cosa avevo in testa?
I  soldi? Ne ho più io. La bellezza? Ce ne sono tante come lei, una o  l’altra è lo stesso.
L’amore? Puttanate!
Forse le sue conoscenze,  le connessioni con politici, imprenditori, gente che conta. Il giro  giusto.
Si, forse.
Decido che non c’è, non voglio più vederla. E’  sparita. Sono solo seduto al tavolo, di fronte ho un fantasma, del  brusio indistinto. Luce tremolante. Guardo intorno, magari mi distraggo  un po’.
Accidenti a questo ristorante, finto antico, con le finte  lucine di natale al soffitto che si accendono e spengono nervosamente. E  le finte fotografie con i vip, tutte in posa. Tutti sorridenti. Finti.
Aspetta,  chi ci ho portato qui l’ultima volta, un paio di mesi fa? Veronica? No,  Cristina, quella con la erre moscia e l’accento inglese. Sorrido  ripensando al dopo, arruffato.
E poi non è certamente un posto dove  si possa parlare seriamente, questo, serve per cenare amabilmente,  rompere il ghiaccio, scaldare l’atmosfera, preparare la serata. Il  dopocena, il letto. Ma lei, quella che non dovrebbe esserci, non  capisce, non capisce proprio e mi ha portato qui. In effetti in più di  dieci anni non ha mai capito niente di come va il mondo.
Un momento,  il fantasma mi sta dicendo qualcosa, concentrati, concentrati.
Ah, lo  scopo dell’incontro. Parla di quello. Come se mi interessasse qualcosa.
Lo  so, non devi ripetermelo mille volte, stronza. Lo so che vuoi  lasciarmi, divorziare, prenderti questo, quello. Il gatto, la casa, la  buca delle lettere. L’ho capito da un pezzo, almeno due o tre anni. Non  sono certo stati i due mesi di separazione, e ci metterei due vigorose  virgolette con le dita, a farmi capire che te ne volevi andare. E poi  sai quante me ne sono scopate in questi due mesi.
Beh, sono state  molte anche prima, se è per quello.
Stasera quello che mi da sui  nervi è la tua calma. Parli, parli, senza neppure increspare le labbra,  l’espressione sul viso rimane serena, sembri Siddharta sotto l’albero,  alla fine del libro. Perché? La situazione non è normale. Dovrebbe  uscirti una qualche emozione, un cazzo di tic almeno. Niente. Perché?  Magari hai già un altro,
Già! Vero! Ecco perché sei cosi calma.
Stronza.  Prendo una forchetta, te la punto contro e balbetto qualcosa, ora  basta, ora basta, ma non c’entra nulla con quello che penso. E, credimi,  non vorresti proprio sapere quello che penso, sappi solo che è tinto di  rosso e tu sei distesa, immobile.
Cosa dice? Che devo accettarlo.  Accettare cosa? Ah, si riferisce al divorzio, la separazione. Ti urlo  che non me ne frega niente, ma solo dentro di me. Fuori non serve.
Non  hai mai capito un cazzo di come sono fatto. Mai.
Prenditi tutto,  vattene, sparisci. Non esisti, non esisti più, sei solo un fantasma.
Un  ricordo. Passato.
Ed è ora che dia un occhiata al menù, cosa ordino?  Ravioli dello chef, che vuol dire? Meglio le pappardelle al cinghiale.  Poi una fiorentina. Carne fresca.
A proposito, c’è quella tizia, come  si chiama? Quella che lavora in amministrazione. Mi lancia sempre delle  occhiate e sorride. Flirta, sicuramente. Ci penso io, cara, a farti  sentire bene, prima, dopo, durante. E’ una impressionabile, la porto  qui, in questo posto costoso, crollerà sicuramente. Quel tavolo  appartato laggiù in fondo, potrebbe andar bene, è intimo, crea  l’atmosfera giusta. Domani la chiamo e poi prenoto l’albergo.
Ora  però non roviniamo del tutto la serata, mangiamo qualcosa.
Cameriere?
Ho sempre accarezzato  l'idea di una raccolta di racconti, il titolo sarebbe: "Con un'immagine  negli occhi scriverei per sempre". Questo è uno, scritto durante la  frequentazione della Scuola Holden, a tema.
martedì 9 marzo 2010
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Secondo me potresti seriamente cominciare a farlo. Anch'io ho accarezzato a lungo l'idea di scrivere dei racconti. Pensa che avevo già il titolo e due o tre cosette: "I racconti dell'anonimo". Poi ci ho rinunciato. Almeno per adesso. Un bacio.
RispondiEliminaAnzi sai che faccio? Mò ne pubblico uno di quelli a suo tempo scritti. :)
RispondiEliminaBrava!!!
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