Il ponte

Il ponte
Quadro di Enzo De Giorgi

martedì 9 marzo 2010

Lo straniero


Alte risuonavano le note di Oh Madre Mia nelle voci di Amilcare Ponchielli e Maria Callas. Attraversavano le pareti rimbalzando di scalino in scalino nella vecchia casa di città e poi invadevano il quartiere a grande forza. I vicini sopportavano pazientemente. In fondo solo di tanto in tanto di domenica mattina l’architetto alzava il volume e la lirica si ascolta così. In fondo l’architetto era una persona garbata, salutava sempre quando lo si incontrava per strada e poi si sollevava con uno scatto improvviso il bavero del cappotto color cammello. Da quant’è che abitava lì? Beh, saranno sette anni, almeno. Sempre lo stesso cappotto color cammello. Un’appendice del suo corpo. Impossibile pensare a lui senza immaginarselo nel suo cappotto, lungo ed elegante.
Quand’era arrivato lì, si pensava che fosse di passaggio, come gli inquilini che passavano sempre da quella casa, la casa di Giovanni. Giovanni, il benzinaio, quello che era stato coinvolto in quell’affare lì, quello delle case da gioco. Poverino, fare quella fine lì! Non aveva retto la vergogna. Si era sparato un colpo in testa una sera di dicembre di, quanto tempo sarà passato? Dieci? No, di più. Dodici anni, almeno. La famiglia aveva abbandonato il quartiere pochi mesi dopo e la casa, quella grande casa di città, era stata data in affitto. L’architetto era quello che si era fermato di più, lì.
La voce della Callas risuonava forte quando un trillo insistente lo richiamò alla realtà. Si scosse e lentamente alzò il ricevitore. Riconobbe subito la voce e capì dal timbro metallico che si trattava di qualcosa di serio. “Vieni”, disse Marta, “è ora di tornare”. Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Da tre anni ormai non la sentiva, mai.
Un solo cambio d’abito sarebbe bastato. Preparò il bagaglio. Spense lo stereo ed andò a prendere il treno. La stazione affollata, come sempre, accolse l’architetto. Fece il biglietto per Roma e aspettò l’intercity delle 18.00.
Sul treno si alzò il bavero del cappotto quasi a proteggersi meglio dal freddo. Ma non c’era freddo nello scompartimento. Il suo freddo veniva da dentro e da lontano. Appuntò lo sguardo fuori dal finestrino e rivide la casa di Roma, le alte porte laccate di bianco con i freddi pomelli, anch’essi bianchi. La luce che filtrava dalle persiane verdi sempre chiuse al mondo e lei. La rivide nei suoi gesti più consueti, quando con civetteria si scostava i capelli ramati dietro le spalle. La rivide mentre sorrideva al tavolo della sala da pranzo, mentre sorrideva a Tommaso, con quello sguardo di complicità senza fine, complicità da cui lui era escluso. Tommaso … Da bambino, era stato il suo idolo. Lui, le sue macchine sportive, l’ironia, l’intelligenza di Tommaso. Tommaso … L’avrebbe trovato lì? Ne dubitava.
Arrivò a Roma dopo circa un paio d’ore. Aveva fame. Si fermò a mangiare qualcosa, in un luogo di poche pretese. Tranquillo. Alla sua portata. Già. Cos’era lui, se non un uomo di poche pretese, in fondo! Così diverso da Tommaso, senza grandi ambizioni. Lontano dalle luci della ribalta. La ribalta!Lei era fatta per il palcoscenico. C’era una teatralità diffusa, sempre in lei. Sempre. Ma c’erano momenti in cui la sua forza di istrione veniva fuori quasi in modo furioso. Quando faceva tintinnare i cubetti di ghiaccio scintillante nel bicchiere, nella sua quotidiana sfida all’alcool.
Arrivò a casa che erano già le 23.00. Marta gli aprì la porta. Lui la guardò. Non era cambiata molto. Ci aveva pensato lei, gli disse. Aveva chiamato un’agenzia. Si erano occupati loro di tutto.
L’architetto diede uno sguardo alla casa. Com’era diversa rispetto ad allora! L’odore di piscio di gatti aveva invaso tutto lo spazio. Non più l’odore di lavanda dell’infanzia. Poi andò in camera. La guardò. “Sei ancora bella”. Pensò. “Bella come allora”. Chiuse la porta dietro di sé e disse a Marta: “Andiamo, torniamo domani per il funerale”. Uscirono per strada. C’era freddo. Una falce di luna splendeva nel cielo terso di marzo.

3 commenti:

  1. Death whispered a lullaby


    Out on the road there are fireflies circling
    Deep in the woods, where the lost souls hide
    Over the hill there men returning
    Trying to find some peace of mind

    Sleep my child

    Under the fog there are shadows moving
    Don't be afraid, hold my hand
    Into the dark there are eyelids closing
    Buried alive in the shifting sands

    Speak to me now and the world will crumble
    Open a door and the moon will fall
    All your life all your memories
    Go to your dreams, forget it all

    (Mikael Akerfeldt)

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  2. Bello questo racconto, Giusy.
    Intimo, delicato, riservato come il personaggio del quale racconti un attimo di vita. Come tutti gli attimi di vita ben raccontati, questo porta con se la vita intera nella sua pienezza.

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  3. @ Joseph. Thanks for your words.:)

    @ Un'amica di nome Patrizia. Grazie. Buonanotte amici. Io vado a dormire presto stasera. Sono molto stanca. Un bacio.

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