Il ponte

Il ponte
Quadro di Enzo De Giorgi

domenica 28 febbraio 2010

Di mi presento andante.

Ricordo un'atmosfera strana, qualcosa non andava. Avevo 8 anni ed ero appena tornato a casa da scuola, accompagnato da Laika, un cane che mi attendeva sempre, quasi sapesse che uscivo a mezzogiorno e mezza. Nel pomeriggio mi consegnano, con una scusa, ai vicini di casa.
Papà lavorava in cantiere. Una moglie e cinque figli, quattro minorenni e uno appena diciottenne da mandare in giro dignitosi.
Una sola volta mi portarono a trovare papà in ospedale. Era tutto intubato ma sveglio, e mi guardava e mi stringeva la mano. Avevo capito solo che si era fatto male sul lavoro. Siamo a Luglio 1967. Chiedeva insistentemente una sigaretta, e non mi capacitavo per quale motivo nessuno volle dargliela. Mi balenò per la testa il furto di una dalle tasche di qualche adulto, perchè volevo farlo felice e contraccambiare tutte le volte che lui, quando tornava a casa in bicicletta, una Rizzato verde a canna obbliqua da donna, aggrottava la fronte e ci incastrava una moneta d’argento di 500 lire e io saltando la recuperavo. Poi il cerimoniale continuava. Mi faceva salire sul sellino della Rizzato e mi trasportava fin sotto casa. Inutile dire che le 500 lire erano sempre le stesse che giravano nei giorni dei suoi ritorni. Era un uomo forte papà mio. Non molto alto, un fisico asciutto e tutti muscoli e tutte rughe cotte dal sole e dalla fatica su un volto targato 47 anni sempre abbronzato. La sua giornata iniziava all’alba, in cantiere, e apparentemente si concludeva alle 17:00, tornando a casa. Apparentemente, perchè dopo una rapida “sciacquata” prendeva la sua cassetta di lavoro e risuolava le scarpe degli abitanti del nostro quartiere. A giorni alterni curava il giardino del lotto di case dove vivevamo e il suo giardino era il più bello. Batteva ai punti persino quello del signor Polimeni, un uomo meraviglioso dal pollice magico. Poi l’orto sul Tevere, certo. Compresi poi il perchè in casa nostra giravano e cucinavano sempre tante di quelle verdure che a me facevano schifo.
Quel tragico pomeriggio un gruista, poi risultato ubriaco, gli cozzò con una gru contro la sua schiana 300 quintali di materiale, facendolo cadere giù dal terzo piano mentre intonacava.
Renato Armellini, costruttore (e delinquente) romano, faceva lavorare gli operai senza misure di sicurezza, nonostante la legge già nel 1967 esisteva ed era in vigore. Assoldò tre operai, li comprò, per due soldi, per far approntare in fretta e furia qualche tavola, qualche rete di sicurezza, per evitare grossi guai con la legge. Ma arrivò prima un giornalista di Paese Sera, che scattò foto per lui compromettenti.
Mio fratello, il più grande, 18enne, bussò alla porta del costruttore romano per chiedere un prestito di 300 mila lire, che servivano per il funerale. Non si fece ricevere.
Rientrai a scuola non ricordo dopo quanti giorni dalla morte di papà, avvenuta dopo sette giorni di agonia e tubi in ospedale. Forse l’anno successivo, non lo ricordo, uno dei pochissimi dettagli che ho voluto rimuovere. Quel che invece mi colpì è l’essere addidato dai compagni di classe al mio rientro in un surreale e inconsueto rispettoso silenzio.
Dopo 11 anni di processo vengo a sapere che la vita di papà contabilizzava 4 milioni di lire a figlio.
Renato Armellini non fece un giorno di carcere. Seppi poi che venne rapito dalla barbagia sarda e rilasciato dopo mesi in stato pessimo. Poi morì, leggo dalle cronache, affogato in mare mentre faceva il bagno. Un paio di anni fa, Walter Veltroni premia la figlia al Campidoglio, in omaggio e in memoria di un grande imprenditore che si è contraddistinto per impegno ed onestà. P.s. Prima dell’incidente perse una causa per corruzione.

Mi presento. Mi chiamo Maurizio, ho 50 anni e me ne porto 35.
Abito a Roma dalla nascita e dopo aver vissuto 18 anni di quartiere, fatto di tutto, di niente, di emozioni vere, di sangue alla bocca, di giochi creati e mai pagati e sempre condivisi, decido di innamorarmi della mia compagna di classe, in un istituto scolastico privato, per poter recuperare (poi recuperati) 4 anni di arretrati di studi.
Mi sposo con Ornella a 19 anni. Rimase da me incinta quando andammo nel fiume Tevere a fingere di pescare, visto che non sapevo nemmeno infilare un verme in un amo.Due figli da lei, poi la mia valigia mi trasporta di nuovo a casa di mia madre. Pausa di un anno, un anno di esaurimento, smontavo e rimontavo home computers (Spectrum e Commodore 64) poi di
nuovo luce. Nel 1987 incontro il mio nuovo amore, mi risposo, dopo il precedente divorzio, nel 1990 a nasce il mio ultimo boy. Al totalizzatore 3 figli maschi di 31, 27 e 16 anni.
Dopo aver fatto il barman in nero dai tempi della scuola al diploma di maturità (quale maturità poi lo sa solo dio) vengo assunto, grazie a mio fratello maggiore e grazie ad una legge sugli orfani del lavoro, presso una grande società multinazionale, arrivando ad ottenere, per miei meriti e senza acciaccare alcuno, il grado di super fantozzi, impiegato quadro.
L’11 Marzo 2010 festeggerò 30 anni di azienda.
Ho mille miei racconti di me, perchè nonostante tutto, nonostante le vicissitudini, mi sono divertito a vivere la mia vita. Però queste righe non fann o parte del mio archivio. Le stò scrivendo ora, a ruota libera e senza correzioni. Per ringraziare Giusy del suo invito fattomi per stare con voi su questo blog, per raccontarci di vita. Io amo scrivere di vita. L’esatto opposto di quello che mai facevo ai tempi della scuola.
Un saluto a tutti.

2 commenti:

  1. Ed io amo leggere di vita quando di vita si scrive così. Grazie Maurizio per le emozioni grandi che mi hai regalato stamattina con questa tua presentazione. Abbiamo qualcosa in comune io e te. A dire il vero le condividiamo con la maggior parte dell'umanità queste cose comuni: certi dolori grandi che ci fanno come siamo. Posso dire che sto piangendo? Beh ... lo dico. Non sono quelle lacrime che ti prendono davanti ad un film ben girato, sono le lacrime di co(r)rispondenza di quando riconosciamo un uomo o una donna come compagni di strada. Scrivi tutte le volte che ti va. Un bacio. :)

    P.S. Ringrazio "facebook" che mi ha portato un nuovo amico.

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  2. Felice di averti incontrato, Maurizio, su questa strada. Quando guardo una foto di volti ultimamente mi sorprendo a chiedermi: quanta vita ci sarà dentro quella faccia e, se è vero che gli incontri non sono un caso, cosa mi ha portato a poggiare lo sguardo su questo volto. Ora leggendo su questo bellissimo luogo mi ritrovo a farmi domande simili. Non è la risposta che conta. Conta l'emozione che riesce a darmi un frammento di vita degli altri.

    Ps: quanto a mr Veltroni e simili, quel che è triste è che nella migliore delle ipotesi non sapeva neanche chi fosse questo cosiddetto imprenditore. Ma loro fanno le cose in grande, si sa, non hanno il tempo di occuparsi dei frammenti, dei particolari.
    Nella peggiore delle ipotesi.. ecco no basta, non voglio rovinarmi l’emozione che mi ha dato leggere il tuo pezzo di vita. Grazie.

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